Riferimenti teorici del progetto

La relazione Mamma-bambino: premesse teoriche

Nella specie umana, durante la prima e seconda infanzia (generalmente fino al terzo anno di vita) le relazioni che il bambino instaura con le persone che si occupano di lui sono base fondamentale sia per la sua sopravvivenza che per il suo sviluppo emotivo e cognitivo, in quanto il bambino ha bisogno di ricevere cura e nutrimento sia fisico che psicologico.

Le caratteristiche temperamentali del bambino, le pratiche educative, gli atteggiamenti e la personalità dei genitori si combinano tra loro per produrre uno schema caratteristico di interazioni sociali tra bambino e ciascun genitore. Quasi tutti gli autori ritengono che questi schemi interattivi influiscano sulla crescita psicologica dei bambini in molti modi diversi.

Dalla prima relazione con la madre (o di un’altra figura primaria che se ne prende cura) deriva, quindi, tutta una serie di aspettative e assunti che influenzeranno i successivi rapporti.

Per la teoria psicoanalitica di Freud i bambini nascono dotati di istinti biologici che chiedono di essere soddisfatti. Nel corso della prima infanzia le fonti più intense di gratificazione sono gli eventi connessi all’alimentazione: quando hanno mangiato e sono asciutti e puliti, la loro attenzione si focalizza sulla persona che fornisce gratificazioni.

Melanine Klein stabisce una nuova tappa nella concezione psicanalitica dello sviluppo infantile, sostenendo che l’Io non nasce col bambino, ma si forma gradualmente attraverso ripetizioni delle esperienze, grazie a meccanismi precoci di introiezione (dall’ambiente) e proiezione (sull’ambiente). Una madre che non si relaziona, o che si “dimentica” di dare da mangiare al proprio figlio, o che lo lava solo dopo molte ore passate con i vestiti fradici, o che fa violenza su di esso nei momenti di angoscia, rischia di di disgregare l'”IO” del bambino e di fargli mancare i mattoni fondamentali per la costruzione del “SE’”. Angosce e difese, iniziando assai precocemente, appaiono e riappaiono durante l’infanzia, così come durante la vita adulta. Per questa autrice, obiettivo primario della comunità educativa è ridare serenità e costanza alla relazione tra il genitore ed il suo figlio.

Kohut, fondatore della “Psicologia del Sé”, parte dal presupposto che durante la primissima infanzia le energie del bambino siano interamente dedicate alla soddisfazione dei bisogni personali ed alla ricerca del benessere. Con il tempo imparerà anche ad elaborare le delusioni. A livello intrapsichico quindi, la formazione del Sé, cioè del nucleo della personalità, passa attraverso l’interazione costante ed obbligata con gli oggetti del mondo esterno e con la loro rappresentazione mentale. E’ infatti la vita affettiva a dare coscienza al Sé. Qualora, nel corso dello sviluppo individuale, si registrassero carenze o deprivazioni, potrebbero innescarsi evoluzioni di tipo patologico.

Nei suoi famosi esperimenti con le scimmie Harlow, contraddicendo ogni teoria psicoanalitica o comportamentista, evidenzia come il legame con la madre non dipenda dal piacere associato all’alimentazione, bensì dal benessere da contatto (scimmia calda).

D.W. Winnicott nella primissima infanzia il lattante e le cure di cui è oggetto, formano un tutt’uno.

Le cura materne, sostenendo l’Io, permettono al bambino di crescere e di svilupparsi, malgrado la sua incapacità di gestire gli eventi esterni. Una madre “sufficientemente buona” che si adatti alle necessità del bambino (“maternage sufficientemente buono”) gli consente di costruirsi un Io ed una personalità unitarie, mentre, in mancanza di esso, il bambino non può progredire oltre lo stadio originario di non integrazione. Il bambino, dunque, comincia ad “esistere” in modo diverso a seconda che queste cure siano adeguate o meno.

Secondo Winnicott, le cure soddisfacenti iniziano con uno stadio di “contenimento” detto holding, con il quale si designa non solo il sostegno fisico del bambino, ma anche tutto ciò che l’ambiente gli fornisce prima del concetto di “vita comune”, il quale prevede la partecipazione consapevole alle relazioni oggettuali e l’emersione del bambino dallo stato di fusione con la figura materna (sia essa la madre naturale o un suo sostituto). Questa fase è importantissima perché, alla base della capacità di diventare un individuo autonomo, sta il ricordo delle cure ricevute, immagazzinato dal bambino. Se queste cura saranno state adeguate, il bambino, crescendo, aumenterà la propria fiducia nei confronti dell’ambiente che lo circonda, diversamente svilupperà una personalità dipendente o addirittura, patologica.

Erik Erikson sostiene che quello che produce conseguenze psicologiche più significative, è il modo affettuoso, coerente, affidabile e dolce (“maternage” par. successivo) con cui si viene accuditi e considera come evento critico la l’acquisizione del senso di fiducia di base in un’altra persona (fiducia contro sfiducia nei confronti del mondo sociale).

Secondo i teorici dell’apprendimento sociale, la madre (rinforzo secondario) diviene importante in quanto associata spesso al cibo e al benessere; il bambino perciò la cerca non solo quando è affamato o prova dolore, ma in numerose altre occasioni. L’intensità della dipendenza è determinata dalla misura in cui è stata associata al piacere e alla riduzione del dolore e del disagio.

Un’attenzione a sé merita la trattazione di Bowlby che, negli anni settanta, in aperto contrasto con le teorie psicoanalitiche e comportamentiste a quel tempo dominanti, affermò che il legame madre-bambino è il risultato di un sistema di schemi comportamentali, a base innata, il cui significato adattivo va rintracciato nella protezione dai predatori e dai pericoli offerta al piccolo.

Secondo questo autore, esisterebbe, dunque, nell’individuo una tendenza innata a ricercare la vicinanza di una figura, chiamata figura di attaccamento, che offra protezione in situazioni di pericolo, paura, sofferenza, tendenza esplicativa di un bisogno primario fondamentale sul piano evolutivo in quanto implicato nella sopravvivenza e nell’adattamento sociale. Quanto più l’ambiente diventa pericoloso, o come tale viene percepito dal bambino, tanto più tendono a manifestarsi i comportamenti di attaccamento che gli assicurano protezione, cioè le risposte di pianto, i tentativi di aggrapparsi alla madre, ecc. Il pericolo può essere costituito sia da una fonte reale esterna, sia da una presunta mancanza di aiuto della madre. Di fronte all’indisponibilità della madre, o in sua assenza, il bambino prova quella che viene definita “ansia da separazione” e la manifesta con comportamenti che meglio gli hanno garantito in passato la sopravvivenza davanti ad un pericolo reale. L’angoscia da separazione raggiunge alti livelli nel caso di esperienze familiari negative, come ad esempio minacce di abbandono, rifiuto da parte dei genitori, malattia o morte di un genitore.

A partire dalla toeria di Bowlby, Mary Ainsworth, dopo aver osservato una notevole variabilità nel comportamento d’accudimento delle madri e in quelli di attaccamento nei bambini, mise a punto una procedura sperimentale (Strange Situation Procedure – SSP), con la quale poter identificare i differenti stili (pattern) di attaccamento nelle interazioni madre-bambino. Quattro sono le tipologie di attaccamento identificate:

  • Sicuro (Tipo B):       al momento della separazione il bambino protesta vivacemente (piange, si dirige verso la porta da cui la madre è uscita, rifiuta di farsi consolare o distrarre) e si calma solo al momento della riunione, accogliendo l’abbraccio della madre come una fonte sicura e immediata di conforto;
  • Insicuro-evitante (Tipo A): al momento della separazione il bambino non protesta (non piange, non cerca di seguire la madre) e alla riunione evita attivamente la madre (non accoglie il suo invito all’abbraccio, continua a giocare e distoglie lo sguardo da lei);
  • Insicuro-ambivalente (Tipo C): il bambino protesta al momento della separazione (come nel tipo B), ma non si lascia confortare durante la riunione. Come nel momento della separazione, continua a piangere anche se è tra le braccia della madre.
  • Disorganizzato/disorientato (Tipo D): si evidenzia una mancanza di organizzazione del comportamento di attaccamento. Il bambino mostra forti oscillazioni dell’attenzione verso la madre. Ad esempio, al momento della riunione si avvicina alla figura di attaccamento con la testa voltata da un’altra parte, o si immobilizza all’improvviso, come pietrificato, con lo sguardo nel vuoto.

L’osservazione dell’interazione tra madre e bambino ha condotto alla considerazione secondo cui le madri dei bambini “sicuri”, si dimostrano stabilmente disponibili a rispondere positivamente alle richieste di vicinanza e conforto espresse dai figli; esse appaiono sensibili ai diversi segnali di disagio del bambino, quando questi chiede aiuto e cura. Un caregiver presente che risponde prontamente alla richiesta di aiuto del bambino gli fornisce una “base sicura” da cui il bambino può partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui poter ritornare per essere accudito, confortato, rassicurato.

Tornando a Bowlby, due sono le ipotesi centrali: che lo stile di attaccamento infantile dipende dalla qualità delle cure materne ricevute (appena disquisita) e che lo stile di attaccamento influenza l’organizzazione precoce della personalità.

Tratterò ora della seconda ipotesi. Secondo Bowlby, il bambino costruisce, in seguito alle sue esperienze di relazione con ciascuna delle figure di attaccamento che lo accudisce nel primo anno di vita, dei Modelli Operativi Interni (Internal Working Models – MOI), e cioè delle rappresentazioni mentali di sé con l’altro.

Le concrete esperienze vissute vengono così generalizzate e vanno a costituire i MOI, composti da strutture mnestiche che riflettono, sia le esperienze soggettive del bambino durante le interazioni con il proprio caregiver, sia le risposte di quest’ultimo verso il bambino stesso. Tali rappresentazioni, da un lato condizionano le aspettative che ogni bambino ha nei confronti della propria figura di attaccamento e su come risponderà alle sue richieste di vicinanza e cura; dall’altro influenzano i suoi comportamenti di ricerca verso l’altro. I MOI, che si formano nel primo anno di vita, potranno essere confermati da successive esperienze di interazione interpersonale, se queste si svolgeranno secondo modalità analoghe a quelle delle originarie relazioni di attaccamento, oppure potranno essere modificate in seguito a ripetuti episodi relazionali differenti. I primi legami di attaccamento vengono, infatti, progressivamente internalizzati e le esperienze successive strutturate e interpretate nel contesto di rappresentazioni intrapsichiche ormai costituite di sé e degli altri. Ma non si tratta di rappresentazioni statiche che si ripetono in contesti diversi e in tempi successivi. Piuttosto, l’adattamento individuale si configurerebbe come un processo continuo nel quale la persona reagisce e modella il suo ambiente interpersonale secondo modelli operativi interni di sé e degli altri. I MOI possono essere attivati e modulati dalle circostanze ambientali e interpersonali.

Nuove esperienze relazionali possono permettere al bambino, adolescente o adulto di rivedere, modificandoli, i propri modelli operativi interni. Le nuove relazioni permettono di riflettere criticamente sul senso e sul valore delle precedenti esperienze di attaccamento e, senza negale o dimenticarle, di costituire una nuova e più ampia rappresentazione del valore dei bisogni di attaccamento e delle relative emozioni.

Concludendo, vorrei sottolineare che lo stile di allevamento e le cure materne derivano da un insieme di fattori che includono non solo le condizioni economiche della madre, ma anche il suo assetto biologico, la sua storia di relazioni interpersonali che ha vissuto nella sua famiglia d’origine, il peso dei valori e delle pratiche della cultura cui appartiene. Preponderante è l’influenza del tipo di legame di attaccamento che la madre stessa ha avuto con uno o con tutti e due i suoi genitori, tanto che si può parlare di trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento, una sorta di eredità culturale delle caratteristiche genitoriali.

Studi più recenti mostrano che le stesse rappresentazioni che un adulto ha derivato dalla relazione con i genitori, vengono dunque trasmesse, con elevatissima frequenza, ai figli di quell’adulto nella relazione che egli stabilisce con il proprio bambino. È attraverso i Modelli Operativi Interni, quindi, che i pattern di attaccamento dell’infanzia sono trasposti nella vita adulta e vengono trasmessi alla nuova generazione. Se da un lato la Strange Situation consente di osservare le modalità di interazione tra figura di attaccamento e bambino, permettendo di individuare i diversi pattern di attaccamento, nel 1985 ad opera di Main viene messa a punto l’Adult Attachment Interview (AAI)   nel tentativo di classificare lo stato mentale di un adulto in relazione alla sua storia di attaccamento, e quindi di avere informazioni rispetto ai suoi modelli operativi interni. L’AAI è un’intervista semistrutturata nella quale si pone grande attenzione al linguaggio che l’adulto utilizza mentre riflette, stimolato dalle domande dell’intervista, sul rapporto con i propri genitori e sulle idee che ha strutturato circa il valore del bisogno di attaccamento.

Dott.ssa D’Egidio Giselda
Psicologo-Psicoterapeuta